Lo psicologo Robert Holden lo chiama il “Contratto della felicità“. Sai che cos’è? È il tuo statuto interiore relativo alla felicità: cioè l’insieme di tutte le tue convinzioni su quanto essa sia possibile e su che cosa devi fare per ottenerla. Di solito sei a malapena consapevole di questo contratto che tuttavia è saldamente radicato dentro di te e si origina sempre dal concetto che la felicità deve essere meritata. Convinzione che, peraltro, ha portato a secoli di dolore, sofferenza e sensi di colpa. Fortunatamente, queste leggi che regolamentano la felicità non sono state decretate da nessun potere superiore: è tutta roba della tua mente! Il che significa che puoi sempre riscriverle. Vediamole un po’ meglio.
La perfezione
Questa regola ti dice che devi essere perfetta per meritarti la felicità. Devi essere brava, molto brava e migliore di come sei ora. La felicità è ammissibile solo a patto che tu ti vesta bene, parli in modo educato, non commetta errori, faccia tutto bene, ti assuma le tue responsabilità, non pensi al male e non dica parolacce.
La paura nascosta dietro a questa regola è: forse non sono abbastanza brava per la felicità. Non ancora, comunque. Prima devo creare una versione migliore di me stessa e poi potrò meritare la felicità. Ma troppa repressione e controllo bloccano la gioia.
L’errore insito nella convinzione della perfezione è che la felicità non è una ricompensa. Non può essere comprata con un buon comportamento.
Puoi riscrivere questa regola ricordando che l’obiettivo della tua vita non è realizzare una te stessa perfetta, ma comprendere che sei già stata creata così. Sei già perfetta come sei. Affermare: “Mi amo e mi accetto incondizionatamente” più e più volte al giorno, magari canticchiando o davanti allo specchio, può aiutarti.
Il sacrificio
“Devo sacrificare qualcosa di prezioso per la felicità”. Ecco cosa ti dice questa regola: la felicità richiede sacrificio. Questa regola del contratto della felicità, come anche le altre del resto, l’hai imparata da qualcuno. Rifletti un attimo: sei cresciuta con un “martire” in famiglia?
Il timore di sottofondo è che essere felici significa essere egoiste, quindi troppa felicità non ti fa essere buona. Ma la felicità non è egoismo, anzi. Studi di ricerca sociale dimostrano che le persone felici sono naturalmente generose, affettuose, socievoli, aperte e si impegnano per la felicità degli altri.
Per riscrivere questa regola rifletti (o medita) su questo concetto: “La mia guarigione e la mia felicità sono un dono per gli altri”.
Il lavoro duro
Ecco cosa dice la terza legge: la felicità si guadagna con il duro lavoro. I discepoli dell’etica del lavoro credono nel lavoro 24 ore su 24, 7 giorni su 7! Credono che la felicità sia un traguardo, che il successo sia una lotta e che l’ispirazione venga dal sudore. Si può essere felici solo dopo aver lavorato.
Con questa regola si nasconde spesso la paura che la felicità non si realizzi se non la faccio accadere. Il rischio è di ritrovarti a correre nella ruota del criceto, a spostare l’asticella sempre più in alto perché solo il successo è la chiave della felicità. In realtà è il contrario: la felicità aumenta le possibilità di successo.
Accetta che sei già felice, qui, oggi, con quello che hai. Puoi essere PIÙ felice? Sicuramente sì, non c’è un limite. Ma lo sei già e non te ne accorgi, perché troppo presa a lavorare per ottenerla. (Anche la gratitudine può aiutarti).
La sofferenza
Questa regola del contratto dice che la felicità deve essere pagata con la sofferenza. Puoi soffrire ora ed essere felice dopo, oppure puoi essere felice ora e soffrire dopo. In ogni caso, devi soffrire. Perché sei quella che la gioia dimentica sempre di includere nei suoi piani.
Forse temi di non essere idonea alla felicità? Ricorda che la sofferenza non ti rende più importante o meritevole degli altri. Non fa di te una grande persona. E, comunque, la felicità è profonda, bella e interessante, se le dai una possibilità.
Molla un po’ la presa sulla vocazione alla sofferenza e coltiva la gioia, che è l’unica cura al bisogno di soffrire.
La comprensione
“Devo capire che cos’è la felicità”. Questa legge ti dice che per essere felice devi sapere come fare. Si tratta di un problema da risolvere. Un’indagine. Un lavoro di ricerca.
Hai le carte in regola per essere felice, stai tranquilla. L’anima è già felice. La felicità non va capita, va goduta. È una qualità del cuore, aiuta a sentirsi a proprio agio nella propria pelle e sorge naturalmente nella mente quando la si accoglie.
Metti qua e là dei post-it per ricordarti che: “La felicità accade quando meno me lo aspetto”.
La garanzia
Questa convinzione dice che è importante avere una garanzia. Bisogna stare in guardia: dopo tutto, questa felicità potrebbe essere un test. L’ideale sarebbe che la felicità fosse garantita. In questo modo ti potresti fidare e non verresti delusa.
Qui regna il timore che la felicità non sia sicura. Posso davvero fidarmi della felicità? Questo amore durerà? È davvero giusto che io sia così felice? Posso fidarmi di me stessa per essere così felice senza rovinare tutto?
Finché credi di doverti meritare la felicità, cercherai garanzie e sigilli di approvazione. Che non esistono. La gioia invece non ha bisogno di un motivo e quindi non può esserti tolta. Può diventare la tua bussola, aiutarti a sentirti al sicuro, sostenuta e guidata.
La ricerca
La felicità è qualcosa che devo trovare. Perché è da un’altra parte, fuori e lontana da me. Rischio di non trovarla mai. E se poi essere felice fosse noioso? Se fosse più divertente cercare la felicità che essere felici? E se facessi le scelte sbagliate? Se l’erba del vicino fosse davvero più verde della mia?
Felicità non è arrivare, ma essere qui. Non è una cosa “da avere”, ma un modo di essere. Che è già dentro di te. Ti basta ripescarla tornando a seguire la tua gioia.
Ripeti 20 volte al giorno con convinzione: “La felicità è dove sono io”.
Il controllo
Me ne devo occupare io. Ecco che cosa si ripete chi segue questa regola del contratto della felicità. Ritiene che per essere felice debba essere forte. Deve farsi grande, più grande della felicità. Deve essere impenetrabile. Deve indossare scarpe speciali per coprire il suo tallone d’Achille. Deve avere il controllo assoluto.
Sotto c’è la paura che la felicità possa fare male. Perché è una cosa troppo tenera per questo mondo duro.
Peccato che non puoi controllare la felicità, non puoi controllare la vita e non puoi controllare gli altri. Hai notato che ciò che cerchi di controllare ti causa il maggior dolore?
La vera forza viene dalla resa e dal lasciarsi andare.
Il dare fastidio
L’ultima credenza sulla felicità è che la mia felicità non deve interferire con quella degli altri. Non deve creare problemi o disagio agli altri. Tengo bassa la mia luce così che possa splendere quella degli altri.
L’errore di fondo è credere che rinunciando al tuo diritto alla felicità renderai più facile per gli altri essere felici. Non tocca a te preoccuparti della felicità di chi ti circonda.
E comunque il tuo sorriso gentile porta un tocco di paradiso in questo mondo. La tua risata felice porta conforto e gioia a tutti. La felicità è contagiosa, mia cara: la tua luce non acceca, casomai illumina la vita degli altri. Per questo hai tutto il diritto di essere felice.
Ora hai qualche indizio per riscrivere il tuo Contratto della Felicità: inizia un passo alla volta, dalla regola che ti risuona di più.
Se senti di aver bisogno di una mano, fammi un fischio. Ne parliamo insieme.